Biblioteca Tione

Gruppo di lettura

giovedì 18 febbraio 2016 h 20:30

"L'alba", Elie Wiesel


Adatto per: Adulti (18+)


Palestina, una calda sera d'autunno, un anno imprecisato tra la fine della Seconda guerra mondiale e il riconoscimento dello stato d'Israele. La resistenza ebraica lotta in Terra Santa contro il mandato britannico. Gli inglesi impiccheranno all'alba il prigioniero David ben Moshe, e i clandestini ebrei hanno deciso che, nello stesso momento, risponderanno giustiziando a loro volta un ostaggio, il capitano John Dawson. L'ingrato compito tocca al giovanissimo Elisha, emigrato in Palestina dopo aver vissuto l'inferno dei lager nazisti e dopo aver perso la sua famiglia. Durante la lunga notte che precede l'esecuzione, la mente del ragazzo è visitata dai ricordi: Elisha vede suo padre, sua madre, il suo maestro e il bambino che lui era. Le loro ombre sono lì, nel nascondiglio della resistenza, non per condannare l'atto che sta per compiere, ma perché il dramma di Elisha è il dramma di un'intera civiltà e di tutto un popolo. Un popolo che, per sopravvivere, dovrà imparare l'odio e la guerra. Narrato in uno stile scarno, di grande potere allusivo e metaforico, il tragico passaggio dal ruolo di vittima a quello di carnefice si dilata fino ai confini di una più ampia riflessione: sul destino dell'uomo, sul come e sul quanto la presenza di Dio possa influire su tale destino.

Cari amici del giovedì!

Il titolo del libro che abbiamo letto questo mese, “L’alba”, lascia immaginare inizi gioiosi, speranze che si schiudono, luci che si accendono. Invece concentrata in meno di cento pagine si trova l’angoscia di un uomo che sa che dovrà spegnere l’esistenza di un altro uomo per far vivere l’ideale cui si è votato.
Un tema estremamente attuale, un libro denso e potente. Elisha è un ragazzo ebreo, sopravvissuto ai campi di concentramento nazisti, che entra a far parte dell’organizzazione terroristica israeliana in lotta per cacciare gli Inglesi dalla Palestina. Nell’immediato dopoguerra Ebrei e Musulmani sono concentrati sull’obiettivo comune di cacciare l’occupante, ma il lettore non può esimersi dal filtrare il racconto di Wiesel alla luce della situazione attuale.
I terroristi scelgono di dismettere l’abito di vittime, indossato dal proprio popolo per generazioni, e nel farlo indossano quello di carnefici. Sul tavolo in mezzo a noi resta il macigno della domanda che tutti ci siamo posti: come è possibile che chi ha vissuto atroci sofferenze, possa imporre ad altri uomini la stessa sorte? Una palla infuocata d’odio rimbalza da un popolo all’altro, nutrendo le fiamme con il rancore, la vendetta, la disperazione. Ogni carnefice nasce da un abuso subito e questo discorso sembra applicarsi anche ai popoli.
Il protagonista è straziato nel profondo, sopravvissuto alla morte per diventarne servitore. Designato esecutore della sentenza di morte, Elisha ammazza in primo luogo se stesso. Cerca in tutti i modi di crearsi un’armatura di odio che lo schermi dalla paura, ma l’odio è qualcosa di astratto, che nulla ha da spartire con il volto e le mani dell’uomo che gli sta davanti compatendolo. La rassegnazione a essere pedine di un gioco più grande di loro, portatori ignari di dottrina, non esime dal peso individuale della responsabilità e della colpa. “Befehl ist Befehl”, gli ordini sono ordini. Un’eco che rimbomba tra le assenze e i vuoti.
L’atto di uccidere coinvolge tutte le persone che hanno fatto di Elisha l’uomo che è: i legami, gli incontri casuali, le conoscenze compongono la sostanza di cui è fatto colui che sta per diventare assassino. Assassini essi stessi in minima parte e ben presenti in questa notte che non finisce mai.
La notte trascorre tra le pagine, si tinge di colori drammatici, di riflessioni profonde che ci trascinano nell’intimità del protagonista. Noi stessi possibili carnefici. Noi stessi possibili vittime. L’innocenza è un concetto tanto puro da perdersi nella sua stessa evanescenza.
Dal premio Nobel per la pace Elie Wiesel, spostiamo la nostra attenzione ad Albert Camus, premio Nobel per la letteratura. Per l’incontro del prossimo mese, il 17 marzo alle 20.30, leggeremo “La peste”. Nel frattempo ho pensato di mantenere per l’incontro successivo il libro più voluminoso di Javier Marias, così verso i primi di marzo lo ordiniamo e abbiamo tutti un po’ più di tempo per leggerlo.

Stamattina è capitata in mano a Daniela la lettera di Camus al suo insegnante, dopo la vittoria del Nobel. Nel rispetto della sincronicità la condivido con voi: è perfettamente in linea con l’idea che le persone che incontriamo collaborano alla creazione di quel che siamo.
«Caro signor Germain,
ho aspettato che si spegnesse il baccano che mi ha circondato in tutti questi giorni, prima di venire a parlarle con tutto il cuore. Mi hanno fatto un onore davvero troppo grande, che non ho né cercato né sollecitato. Ma quando mi è giunta la notizia, il mio primo pensiero, dopo che per mia madre, è stato per lei. Senza di lei, senza quella mano affettuosa che lei tese a quel bambino povero che io ero, senza il suo insegnamento e il suo esempio, non ci sarebbe stato nulla di tutto questo. Non sopravvaluto questo genere d’onore. Ma è almeno un’occasione per dirle che cosa lei è stato, e continua a essere, per me, e per assicurarla che i suoi sforzi, il suo lavoro e la generosità che lei ci metteva sono sempre vivi in uno dei suoi scolaretti che nonostante l’età, non ha cessato di essere il suo riconoscente allievo. L’abbraccio con tutte le mie forze"
Albert Camus

Vi lascio anche i link degli articoli segnalati ieri da Nicoletta:
http://www.biblioclick.it/SebinaOpac/.do?sysb=gdl#3
https://ettoremarini.com/2016/02/17/da-pickwick-a-gadda-il-fascino-discreto-del-clubdi-michele-mari/
E la sorpresa finale:
http://www.biblioclick.it/SebinaOpac/.do?sysb=gdl#3
Ovvero: siamo schedati pure noi!
Alla prossima!

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