Biblioteca Tione

Gruppo di lettura

giovedì 17 marzo 2016 h 20:30

"La peste", Albert Camus


Adatto per: Adulti (18+)


Orano è colpita da un'epidemia inesorabile e tremenda. Isolata con un cordone sanitario dal resto del mondo, affamata, incapace di fermare la pestilenza, la città diventa il palcoscenico e il vetrino da esperimento per le passioni di un'umanità al limite tra disgregazione e solidarietà. La fede religiosa, l'edonismo di chi non crede alle astrazioni, ma neppure è capace di "essere felice da solo", il semplice sentimento del proprio dovere sono i protagonisti della vicenda; l'indifferenza, il panico, lo spirito burocratico e l'egoismo gretto gli alleati del morbo. Scritto da Camus secondo una dimensione corale e con una scrittura che sfiora e supera la confessione, "La peste" è un romanzo attuale e vivo, una metafora in cui il presente continua a riconoscersi

Cari amici del giovedì!

La peste è un romanzo cui ci si approccia con sofferenza perché si insinua nel nostro presente con l'attualità dell'allegoria. Tra tasti neri e tasti bianchi si crea un'armonia che racconta le diverse sfumature dell'animo umano. La narrazione in certi momenti rasenta la noia, l'io narrante a volte è difficile da seguire, ma resta la grandiosità delle osservazioni sull'umanità che emergono nei dialoghi, nei dilemmi interiori, nelle insicurezze dei vari personaggi.
La città in cui si svolge la vicenda contiene in sé tutto il mondo: un mondo che volta le spalle al mare, alla sua consolatoria bellezza. Un mondo che ha sradicato i giardini, le piante, i fiori, tutto ciò che vive senza produrre ricchezza materiale. Un mondo che difende fino allo stremo la frivolezza mondana, per evitare di pensare alla peste che lo invade.
L'indifferenza a livello sociale è una caratteristica dell'uomo dei nostri tempi e può essere mantenuta solo a discapito della conoscenza. Quando vediamo morire un essere umano, questo esce dall'anonimato e non è più un numero statistico; il velo dell'apatia si squarcia e iniziamo a sentirci coinvolti, non più stranieri. Guardare un telegiornale è come aprire una finestra sulla peste, su quel subdolo male che falcia l'umanità in ogni tempo.
La malattia non guarda in faccia nessuno, rende gli uomini uguali come ratti e li separa dal gruppo togliendo sacralità all'attimo della morte. La società si riorganizza, serrando i ranghi per far fronte alle perdite, inventando nuove strategie per sopravvivere al male. Molte persone fanno esclusivamente il proprio interesse, alcuni intraprendono la lotta contro il male senza eroismo, semplicemente compiendo con sollecitudine il proprio dovere. La peste crea una zona grigia in cui scompaiono a poco a poco le separazioni, i dolori personali, i legami.
Ci sono poche donne in questo romanzo e tra loro spicca la madre di Rieux, donna di tanti silenzi, che supporta il figlio con la sua solida presenza. Rieux si limita a fare il suo lavoro di dottore, cura le persone con dedizione senza lasciarsi tentare da riflessioni metafisiche. Un uomo non può far altro che salvare la sua parte di mondo, assaporando le piccole cose belle, i piccoli piaceri che rendono la vita più lieve anche nei momenti avversi.
Rieux si fa anche portatore di memoria, perché il male non va abbandonato all'oblio: ricordare ciò che è stato aiuta a prepararsi a ciò che potrà essere. Il futuro va preparato nel presente, il male non deve cogliere l'uomo impreparato.
Il romanzo ha scatenato numerose associazioni di idee, a prescindere dalle memorie scolastiche di Manzoni e Boccaccio. A molti è tornato in mente “Cecità” di Saramago, di cui abbiamo discusso tempo fa.
Qualcuno ha ricordato che in Algeria l'integrazione culturale era una norma, come si può notare nel libro “Il giardiniere di Tibhirine” di J.M. Lassausse da cui è tratto il film “Uomini di Dio”.
Chi ha letto “Il primo uomo”, l'autobiografia incompleta di Camus, ha parlato del libro in modo così intenso che sicuramente ha destato in molti la voglia di leggerlo.
Infine è interessante lo spunto che ci riporta alla peste nei nostri paesi, descritta da Paolo Scalfi Baito nel libro “Preore in Giudicarie”.

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